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Il 24 novembre abbiamo partecipato, in qualità di Media Partner, al MARKETERs Festival 2018. L’evento, organizzato dai ragazzi di MARKETERs Academy e giunto ormai alla sua terza edizione, è stato ricco di speech e incontri che ci hanno regalato molti spunti di riflessione sullo scenario del digital marketing e della comunicazione.
In questa occasione abbiamo avuto il piacere di intervistare il professor Romano Cappellari, docente di Marketing e Retailing all’Università di Padova e direttore del Master in Retail Management e Marketing e del Master in Brand Ambassador presso la Cuoa Business School. Abbiamo voluto confrontarci con lui in particolare per comprendere il suo punto di vista sul futuro del retail marketing in un momento storico in cui il consumatore è sempre più digital e i negozi tradizionali sembrano soffrirne.
- Secondo lei, quale può essere il futuro dei supermercati e della grande distribuzione organizzata in uno scenario in cui i retailer online sembrano farla da padroni?
Il negozio inteso come spazio fisico in cui le persone si recano per fare acquisti andrà inevitabilmente in crisi. La GDO tradizionale non potrà competere con l’e-commerce in termini di gamma e profondità dell’assortimento. Inoltre, nessuno si diverte ad acquistare prodotti di uso quotidiano con un basso contenuto esperienziale e sempre più persone tendono a comprare queste cose online.
Per questo motivo nei punti vendita è necessario curare l’esperienza d’acquisto, come avviene per esempio da Whole Foods Market. Qui è possibile acquistare cibo e in particolare i freschi, vivendo anche momenti legati all’apprendimento di nuove informazioni, all’assaggio, al confronto con prodotti diversi e così via. I punti vendita sono molto curati e in diverse zone è possibile conoscere i valori dell’azienda.
Un altro esempio è quello di Walmart, che ha adottato una strategia omnichannel che combina il digitale con il fisico attraverso la modalità click and collect, passando per delle “Pickup Towers”: dei punti di ritiro per gli acquisti online ubicati in diverse zone del supermercato.
Pensando a queste tendenze, credo che tra qualche anno i negozi tradizionali saranno mediamente molto più piccoli, per cui il consumatore si vedrà arrivare direttamente a casa i prodotti della GDO e si recherà in negozio per fare degustazioni e scoprire prodotti nuovi.
- Gli assortimenti di prodotto delle catene di supermercati sembrano assomigliarsi un po’ tutti e l’elemento differenziante sembra essere il prezzo: quali altre leve potrebbero utilizzare un domani?
Da noi le insegne non hanno mai lavorato per costruire un vero e proprio brand. Ricordo che un grande retailer italiano mi raccontò che per comprendere l’efficacia della sua identità di marca effettuò delle interviste ai consumatori in uscita dal punto vendita e qualcuno di questi non sapeva neanche il nome dell’insegna del negozio in cui era appena stato.
Se i punti vendita non sono marche, non sono differenziati e quindi ricordati: per esempio se una persona si reca sempre nel supermercato sotto casa e si trova bene, qualora dovesse cambiare l’insegna continuerà a recarsi lì. Succede spesso!
Anche nella GDO la marca deve trovare una sua identità, che tipo di valori possiede e che proposta di prodotto vorrebbe offrire. È una bella sfida perché il marketing deve comunicare ciò in cui crede l’azienda e rendere chiaro il motivo per cui i consumatori dovrebbero sceglierla. Se si fa solo magazzino, si è destinati a morire.
- Per quanto riguarda invece i centri commerciali in Italia, cosa potrebbero fare per non perdere visitatori?
Da quel che vedo in giro l’evoluzione del Centro Commerciale è la Food Destination. Per esempio abbiamo portato i ragazzi del Master a Brooklyn, dove abbiamo visitato un nuovo centro commerciale, al cui interno è stato riprodotto un vero e proprio mercato di street food. Quindi, una persona che si reca presso il centro, trova lì molteplici offerte food come il cinese, l’italiano che fa le salsicce, il caffè dell’osteria vicina, scoprendo sapori nuovi.
Chi va al centro commerciale spesso trova merce che può acquistare online o da altre parti, pertanto è necessario inventare una destinazione di intrattenimento dove si svolgono eventi o dove si possono vivere interessanti esperienze culinarie, cose che chiaramente non sono possibili con l’e-commerce. Hudson Yards ha per esempio selezionato un team di cuochi famosi in ristoranti americani portandoli presso i propri spazi e capovolgendo il concetto di centro commerciale in cui per la ristorazione si scelgono i fast food o i bar che preparano i toast.
- È molto difficile spingere i centri commerciali ad abbracciare delle logiche che vadano al di là delle carte fedeltà delle singole insegne.
Potendo conoscere i comportamenti del consumatore cross merceologia e cross marca, si ha un grande potenziale. Le possibilità per sollecitare i clienti sono molteplici: il centro commerciale può in teoria vedere cosa un consumatore mangia, come si veste, come si muove. Quindi c’è il potenziale per proporgli ad esempio di visitare un cocktail bar lì vicino se al supermercato compra il gin e il tonic.
- L’esempio di Amazon 4-Star* ci suggerisce che si sta andando verso una sorta di omologazione dei gusti in quanto se gli assortimenti sono composti da prodotti che piacciono alla maggioranza, si finirà per comprare tutti le stesse cose. La personalizzazione che spazio trova in questo scenario?
4-Star secondo me non è un modello che andrà tanto, si tratta di un esperimento, una provocazione che Amazon sta testando. L’idea di fondo è che il negozio venga riservato ai bestseller per favorirne la vendita. Mentre per i prodotti meno popolari continuerà ad esserci il web.
La selezione dei prodotti più acquistati, per esempio i top 10 giocattoli più comprati in America, è una sorta di consulenza ai consumatori. Se devono fare un regalo spendendo una certa cifra, sanno che scegliendo uno di questi prodotti andranno sul sicuro. Se invece si vuole fare un regalo personalizzato e si vuole quindi una selezione più ampia, il web rimane il punto di riferimento.
Gli esempi di negozi che seguono questa logica sono infatti piccoli. La personalizzazione sarà sull’esperienza: attraverso i dati d’acquisto dei clienti essi vengono identificati e si possono consigliare i prodotti più in linea con le loro abitudini ed esigenze. Potendo leggere questi dati in negozio, si potrà addirittura suggerire l’acquisto online direttamente nel punto vendita.
- Secondo lei le community che si costruiscono online come possono essere sfruttate al meglio anche nell’ambito retail?
Per quanto gli algoritmi possano identificare ad esempio quali modelli di scarpe acquista un consumatore, quando ognuno di noi deve provare un nuovo paio di scarpe preferisce ricevere un consiglio personalizzato face-to-face. Ad esempio Peloton, venditore di biciclette da spinning, in un periodo in cui ormai spopolano i tutorial su YouTube, ha messo a disposizione, nei suoi negozietti, un trainer che consiglia gli articoli e li fa provare. Questa operazione aumenta il senso di fiducia e la fedeltà dei consumatori.
- Nella nostra esperienza di gestione di community online e canali social per i nostri clienti, vediamo che se da una parte sono sempre più utilizzati dei mezzi digitali per interagire con i brand, è sempre forte la necessità di avere una relazione personale e quindi di poter “parlare con qualcuno”. In questo senso il retail può fare molto per stringere la relazione tra azienda e clienti.
La relazione web quando si innesta su un rapporto che è vissuto anche di persona è sicuramente più forte. Lo vediamo anche a livello personale quando guardiamo le Stories su Instagram: non mi viene voglia di interagire con l’influencer che seguo, ma mi viene spontaneo fare la battuta al mio amico che va a fare una gita in barca e pubblica i suoi video.
Il retail può gettare le basi di una relazione tra brand e cliente da coltivare e sviluppare online.
L’intervista con il professore ci ha quindi confermato che il digital non rappresenta un nemico dei retailer più tradizionali, ma anzi è un alleato prezioso per rafforzare e fa sviluppare il rapporto di fiducia tra consumatori e brand.
Grazie a MARKETERs Academy e al professor Cappellari per l’esperienza formativa e stimolante!
*Amazon 4-Star è un negozio, sito nel quartiere di Soho a New York, in cui sono presenti solo prodotti che hanno ottenuto una media di almeno 4 stelle (o più) nelle recensioni dei clienti di Amazon.
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