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Professionale non significa serioso. Anzi, sono proprio le persone autorevoli quelle che possono permettersi di essere ironiche e leggere senza perdere credibilità.
Questa distinzione tra serietà e seriosità è ben chiara ai professionisti della comunicazione, ma ha tardato a raggiungere i luoghi riservati esclusivamente al business, compreso LinkedIn, il social media professionale per eccellenza.
Nato per facilitare la creazione di opportunità economiche attraverso reti di contatti professionali, LinkedIn ha allargato negli anni il proprio ruolo, e con esso il proprio linguaggio: oggi su LinkedIn non si cerca semplicemente lavoro, ma ci si forma, ci si confronta, si condividono le proprie competenze per dare valore al proprio capitale professionale personale e di brand.
Cosa significa? Che i post “fatti come curriculum”, in cui si mettono semplicemente in vetrina le proprie competenze, funzionano sempre di meno, mentre acquisiscono maggiore visibilità i contenuti che offrono spunti di riflessione o che semplicemente fanno sorridere.
D’altra parte, le persone che frequentano LinkedIn, pur “vestite” dei panni di professionisti, sono le stesse che scrollano i feed sugli altri social media, lasciandosi catturare da meme, contenuti divertenti, frasi motivazionali, fotografie “autentiche”, pensieri che toccano corde personali, prima ancora che lavorative.?
I clienti business, insomma, sono prima di tutto a loro volta dei consumer, portati a sentire più vicino un brand che parla loro con il linguaggio di tutti i giorni anziché con un gergo iniziatico e spesso criptico (quante nuove sigle del marketing emergono ogni anno? Di quante di queste potremmo fare tranquillamente a meno?).
Questa necessità di leggerezza va commisurata naturalmente al tono di voce e al posizionamento specifico di ogni brand. Per citare due esperienze dirette tra le case history di Olojin, un brand di arredo e design dovrà puntare comunque su contenuti visivamente equilibrati e “puliti” e il suo humor risiederà più nell’understatement che nella comicità; viceversa, un marchio come quello di un parco divertimenti, già di per sé legato alla leggerezza e all’allegria, potrà concedersi più libertà, senza perdere dai vista gli obiettivi del canale.
Tutto questo non significa, quindi, trasformare anche LinkedIn in una raccolta di gattini!
L’equilibrio da trovare non è così scontato, perché ci troviamo pur sempre in un canale dedicato al business, dove i contenuti dovrebbero avere un certo valore. Nel caso del famoso parco divertimenti, ad esempio, si è reso necessario costruire un’immagine del tutto nuova rivolta a una clientela business che in quel parco avrebbe potuto trovare una location per eventi aziendali. Quel tocco di ironia e di autoironia andava quindi bilanciato dai temi trattati, dal punto di vista o dai dati comunicati, per non minare la credibilità della comunicazione.
La forza di questo registro in equilibrio tra serietà e ironia, che abbiamo verificato nei risultati delle nostre gestioni, si può verificare empiricamente anche semplicemente scorrendo il proprio feed e valutando quali sono i contenuti più premiati dall’algoritmo: non i riconoscimenti, i traguardi, le autocelebrazioni, ma quei post che promuovono un coinvolgimento spontaneo, perché generano discussioni e sorrisi.
Quello che vediamo oggi su LinkedIn è quello che funziona meglio anche nelle nostre community: un ambiente positivo e accogliente, aperto allo scambio, ai sorrisi e alle risate.
Che poi, a pensarci bene, è anche quello che funziona meglio nella vita reale.
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