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Provate a fare una ricerca su Instagram con gli hashtag #bodypositive o #bodypositivity.
Troverete foto di persone dalla fisicità non standard, immagini non patinate o photoshoppate per nascondere i difetti.
Si tratti di campagne promosse da influencer oppure da utenti (soprattutto donne) stufe della rappresentazione stereotipata del corpo all’interno della pubblicità e dei social network.
L’argomento non è nuovo e un primo timido tentativo è stato fatto negli ultimi anni dalle case di moda con l’inclusione di modelle “curvy” nelle sfilate e nei servizi delle riviste (Ashley Graham è una delle più famose, ed è ormai storico il suo servizio fotografico in bikini per Sports Illustrated). Ma si è trattato di casi sporadici e visti comunque in contrapposizione alle modelle taglia 38, che rimanevano il metro di paragone su cui giudicare tutte le altre.
Ultimamente, invece, il fenomeno ha raggiunto delle proporzioni molto più ampie e gli ultimi dati Nielsen (Global Survey Women & Diversity del 2016, condotto su un campione di più di 31mila persone in 63 Paesi del mondo) ci dimostrano come la diversità in senso ampio e non discriminatorio sia sempre più apprezzata da consumatori e utenti.
L’infografica della ricerca rende subito evidente come sia in particolare la Generazione Z ad apprezzare una comunicazione che valorizzi corpi diversi dallo standard a cui siamo abituati, persone più anziane o con disabilità, di diverse etnie o, ancora, famiglie non tradizionali (composte da un unico genitore, oppure da coppie omosessuali).
Chi ha aperto la strada è stata Dove, che ha basato tutta la sua comunicazione degli ultimi anni sulla bellezza delle donne normali, dalla campagna per la Bellezza Autentica alla più recente My Beauty My Say.
E da un po' di tempo nei social network molte influencer stanno combattendo una nuova battaglia contro l’illusione del corpo perfetto, raccontando per immagini come sia facile posizionarsi in modo da nascondere i propri difetti e guadagnare centinaia di like.
Qualche nome? La blogger finlandese Sara Puhto, che ha iniziato a pubblicare dei post in cui affianca due foto, una in posizione “instagram” (quella che minimizza i difetti) e l’altra “realistica”. O ancora, Megan Jayne Crabbe, scrittrice inglese portabandiera del Body Positive Movement.
Inserire all’interno della strategia social e web di un’azienda un messaggio #bodypositive è sicuramente una sfida: la sua riuscita dipende soprattutto dalla tipologia di brand (funziona bene ad esempio con i marchi di makeup o gli e-commerce di abbigliamento: basta vedere l’eco che ha avuto la recente campagna del portale Asos, che ha deciso di non ritoccare le sue modelle di intimo e beachwear e lasciarne visibili le smagliature). Non solo, ma anche dal tone of voice dell’azienda, che non deve risultare provocatorio o sarcastico, ma sincero e realmente partecipativo.
È sicuramente una strategia da studiare a tavolino per evitare rischi e scivoloni, ma state sicuri: il vostro pubblico più giovane vi ringrazierà.
Fonte:
Nielsen
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